Pagine

sabato 22 novembre 2014

Verso lo sciopero generale


Redazione - Giovedì 4 dicembre, ore 21:00, incontro-dibattito a Poggibonsi (luogo da definire) sulle ragioni della grande mobilitazione convocata da alcune forze sindacali con la partecipazione di lavoratori delle aziende in crisi della Val d'Elsa. Concluderà DINO GRECO, della direzione nazionale di Rifondazione Comunista, già direttore del quotidiano Liberazione. 

In una fase di estrema retrocessione dei diritti dei lavoratori a causa dell'acuirsi della crisi e dell'aumento degli attacchi di classe da parte dei padroni, concretizzatisi in provvedimenti come Il pacchetto Treu, la legge Fornero e ora il Jobs Act (solo per citarne alcuni), la convocazione dello sciopero generale è una decisione giusta è sacrosanta da parte dei sindacati aderenti, anche se in ritardo visti gli ultimi trascorsi del mondo del lavoro e il trattamento ad esso riservato dai governanti e dalle potenze industriali e bancarie. Noi aderiremo convintamente ed attivamente e invitiamo tutta la cittadinanza a fare lo stesso, proponiamo inoltre di partecipare a questa iniziativa di approfondimento sul tema, convinti che agli attacchi di classe si risponda con la lotta di classe!


Organizza il comitato valdelsano dell'Altra Europa con Tsipras. CONTRO AUSTERITÀ, LIBERISMO e JOBS ACT, PER I DIRITTI DEL LAVORO.

mercoledì 19 novembre 2014

Sciopero generale spostato al 12 dicembre

Redazione - È notizia fresca che il vertice congiunto dei sindacati confederali ha rielaborato le decisioni prese in precedenza dalla sola CGIL riguardo lo sciopero generale. Eravamo rimasti ad una giornata di mobilitazione convocata solo dall'organizzazione della Camusso per il 5 dicembre (come da recente articolo su questo blog), oggi apprendiamo che la UIL si unisce nella protesta e viene deciso di spostare lo sciopero generale al 12 dicembre, mantenendo la durata di 8 ore, articolandosi in manifestazioni territoriali. Restiamo in attesa di comprendere se varierà anche le piattaforma oppure no, in ogni caso noi ci saremo e porteremo i nostri contenuti, affinché lo sciopero generale sia la prosecuzione e la maturazione di un'ampia stagione di lotta contro l'austerità e il capitalismo liberista che per salvare sè stesso affama i lavoratori e precarizza a vita chi non ha lavoro.

martedì 18 novembre 2014

Il "nuovo" docente della buona scuola

Di Fulvio Padulano (www.collettivostellarossa.it) - Il Piano Renzi della buona scuola promette un’incredibile assunzione di 150.000 precari “nel corso di un solo anno”, al costo di 3 miliardi di euro nel periodo 2015/2016 e di 4 miliardi circa per gli anni a venire. Al di là della dubbia sostenibilità finanziaria della Grande Promessa (mancano i fondi persino per i 4000 “quota 96”), il documento del governo significativamente riconosce che la scuola ha bisogno di insegnanti. Inoltre, è imminente la sentenza della Corte di giustizia europea che obbligherà l’Italia ad assumere i lavoratori che svolgono il medesimo lavoro in modo reiterato, comminando in alternativa una multa di circa 4 miliardi. Per ironia della sorte, la cifra pari al costo di assunzione dei precari della scuola.
Ma se lo stesso governo riconosce che la scuola necessita di insegnanti, e se, come “dice l’Europa”, bisogna assumere stabilmente i lavoratori con contratti reiterati nel tempo, allora perché queste promesse assunzioni diventano un vero e proprio ricatto (modello Marchionne)? Il documento vincola le assunzioni all’accettazione di un patto che costituisce una riforma radicale della scuola italiana: attraverso di esso si realizzano finalmente in modo compiuto il processo di privatizzazione e il modello di scuola-azienda avanzato a tappe in questi anni, da Berlinguer a Brunetta, dalla Gelmini alla Aprea, sostenuto da finanza e grande industria e contro cui studenti, famiglie e lavoratori della scuola si battono da anni, denunciandone la gravità. Il Piano Renzi si presenta, con la grafia rassicurante di un bambino, come la buona scuola. Nega di essere una riforma ma realizza, de facto de jure (istituzionalizzando una tendenza già introdotta nella scuola dalle precedenti riforme), una completa e radicale trasformazione dello status del docente. La domanda che introduce il profilo del “nuovo docente” – insegnanti anche con 30 anni di servizio – è la seguente: “che cosa faranno questi nuovi docenti nella scuola italiana?” (p. 21).
Innanzitutto i quasi 150.000 precari da assumere dovranno adattarsi a una certa flessibilità geografica e tipologica: accettare l’incarico anche fuori della propria provincia e regione, adattarsi a nuove tipologie di lavoro, per cui saranno assegnati: “a) alle cattedre vacanti e disponibili; b) alle supplenze, anche brevi [quindi eliminazione della terza fascia delle Graduatorie d’istituto, ndr]; c) alle necessità e/o disponibilità di organici dell’autonomia delle diverse scuole o reti di scuole su tutto il territorio nazionale” (p. 27). Dunque, il nuovo docente della buona scuoladovrà esser pronto a tappare i buchi delle supplenze, estendere l’insegnamento anche a “materie affini” alla sua e, anziché lavorare in funzione degli specifici gruppi-classe, dovrà adattarsi a lavorare all’organizzazione e miglioramento dell’offerta formativa della scuola in posizione di “organico dell’autonomia”: occuparsi cioè di Pon, progettini, valutazione, viaggi d’istruzione, servizi, promozione della scuola e quanto disposto dal Preside e dalla nuova figura del docente mentor, in funzione della scuola o rete di scuole per cui lavora.
Un altro punto fondamentale riguarda il potere decisionale dei docenti: con la revisione degli organi collegiali prevista dal documento, esso sarà drasticamente ridotto, abolito in sostanza, in quanto al Collegio dei docenti spetterà la sola funzione di programmazione didattica, mentre il potere di indirizzo (progetti e attività da svolgere durante l’anno scolastico) sarà affidato al Preside e a un consiglio consultivo ristretto di supporto, non bene chiarito (alcuni docenti? finanziatori privati?). Alla perdita di potere del Collegio dei docenti fa da contraltare la nuova figura del docente mentor, che “segue per la scuola la valutazione, coordina le attività di formazione degli altri docenti, compresa la formazione tra pari, sovrintende alla formazione dei colleghi, accompagna il percorso dei tirocinanti e in generale aiuta il preside e la scuola nei compiti più delicati legati alla valorizzazione delle risorse umane nell’ambito della didattica” (p. 57). Il mentor è scelto dal Nucleo di Valutazione interno “tra i docenti che per tre trienni consecutivi hanno avuto uno scatto di competenza” e prima dei 9 anni, dal Nucleo di valutazione interno; dura tre anni rinnovabili, non può costituire più del 10% del personale della scuola o rete di scuole e percepisce anche una indennità supplementare agli scatti. Il mentor dirige inoltre gli esperti della didattica (anche esterni alla scuola) e i non meglio precisati “innovatori naturali” che, premiati persino economicamente, si occupano della formazione per i docenti.
La formazione dei docenti si afferma infatti come un obbligo, e la sua efficacia richiede una misurazione specifica. Il fulcro di questa trasformazione della scuola è costituito infatti dal sistema di certificati e crediti, che attesteranno il famigerato “merito”, di cui si parla nella III parte: “Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola”. Il cambiamento è esplicito: si tratta di “ripensare la carriera del docente”, ricorrendo ad “un nuovo status giuridico” (p. 50). Secondo il documento “la funzione docente” comprenderà non solo l’attività di insegnamento, ma anche le cosiddette ‘funzioni strumentali’, come l’aggiornamento e la formazione in servizio. Queste attività saranno connesse al riconoscimento di crediti “didattici, professionali e formativi”, che saranno certificati e arricchiranno il portfolio del docente. E nessun dubbio – assicurano con la ‘coda’ che già brucia – sul fatto che “non sarà un sistema fatto di sole procedure formali e certificati”, poiché “ci sarà spazio per una valutazione anche qualitativa interna alla singola scuola”.
Sulla composizione e i criteri dei Nuclei di valutazione interna cui si fa riferimento però non si dice molto, ma di certo ci si avvarrà dei test Invalsi. Il portfolio di crediti certificherà il “merito” del docente all’interno di una classifica della scuola, consentendo l’accesso (al 66% dei docenti di ogni scuola) agli scatti salariali secondo il nuovo sistema dei crediti: l’attuale criterio di anzianità sarà abolito, anche per chi è in servizio da meno di 33 anni, e non permetterà più di conteggiare gli scatti di carriera. Quindi nella scuola del “giovane” Renzi nessun riconoscimento dell’esperienza maturata negli anni, ma più servizi, progetti, corsi di formazione possibili per diventare ‘meritevoli’ del dovuto aumento salariale. Tralasciamo ogni commento sul mercato sviluppatosi in questi anni attorno a progetti ed enti di formazione. Tale “merito” sarà dunque il criterio guida della carriera del docente.
Una parentesi economica sullo stipendio risulta molto significativa. Eliminando il criterio di anzianità, si realizza un taglio complessivo e strutturale dello stipendio dei docenti. Come l’ha definita Renzi, una riforma a costo zero (anzi al ribasso): ecco le riforme che ci chiede l’Europa! È sufficiente calcolare che il meccanismo di scatti “meritocratico” comporterà, per un docente “meritevole” in media due volte su tre durante tutta la sua carriera (coerentemente al limite del 66% previsto dalla riforma), a una decurtazione di circa 26 € al mese rispetto all’attuale sistema di conteggio (il documento parla di 720€ di aumento massimo possibile contro gli attuali 577€, ma considerando un docente che ricevesse tutti gli scatti di ‘merito’ possibili, che sono invece attribuibili solo a 2 docenti su 3 di ogni scuola, appunto il 66%). Se i meritevoli 2 volte su 3 perdono 26€ al mese, immaginiamo quanto perderanno i meno o poco meritevoli, se non gli immeritevoli tra cui, sembra, saranno considerati tutti quei professori che si occupano soltanto di insegnare, matematica, greco o storia, già ampiamente presi dalle attività, dalle difficoltà e dalla bellezza del compito. Quali “meriti” e certificazioni oggettive, da allegare in un portfolio, si potranno produrre? Ma evidentemente i docenti sono ‘invogliati’ e degradati dal nuovo sistema a fare a gara tra loro ad iscriversi piuttosto a qualche corso per imparare a utilizzare la lavagna elettronica (“crediti formativi”) oppure organizzare l’open day della scuola (“crediti professionali”) o raggiungere punteggi alti all’Invalsi (“crediti didattici”) per provare a rientrare tra il 66% dei docenti che otterrà 60€ di aumento ogni tre anni.
La questione non riguarda però solo la retribuzione dei docenti italiani, fra i meno pagati in Europa. Il significato profondo risiede nella trasformazione della scuola pubblica e democratica in un’azienda standardizzata, liberalizzata e trasparente come richiesto dal mercato. Consideriamo le certificazioni di “merito” (portfolio): esse si aggiorneranno ogni tre anni e saranno pubbliche, promuovendo – attraverso la trasparenza dei dati delle singole scuole e dei singoli professori – una mobilità che faccia incontrare la domanda con l’offerta. Non a caso nel documento si fa l’esempio di un docente che può valutare di trasferirsi in una scuola con punteggi minori in modo da rientrare più facilmente tra i meritevoli!
Il mercato è il paradigma che non si vuole più solo attuare ma legittimare come l’unico possibile, anche per il sapere e l’educazione dei giovani. Il dirigismo pseudo-efficientista del Preside-manager, la competizione tra i docenti (e tra le scuole) agli ordini dei caporali, lo svuotamento della collegialità e della rappresentanza portate avanti in questi anni e condensate nella buona scuola di Renzi sono l’esatta negazione della libertà d’insegnamento, sancita dalla Costituzione. Si vuole cancellare una scuola pubblica e democratica proprio perché essa, promuovendo il libero sviluppo della persona e della società, costituisce una delle ultime roccaforti di una civiltà che ancora cerca di opporsi alla barbarie del mercato unico globale.

venerdì 14 novembre 2014

Bene lo sciopero generale della CGIL del prossimo 5 dicembre

di Roberta Fantozzi e Paolo Ferrero – Bene la decisione della Cgil di indire lo sciopero generale per il prossimo 5 dicembre. Saremo in piazza con il sindacato contro un governo che vuole smantellare definitivamente l’articolo 18 e condannare i giovani alla precarietà a vita, privatizzare il welfare e i beni comuni, demolire la Costituzione e ridurre la democrazia ad un simulacro.
Sosteniamo tutte le mobilitazioni dei prossimi giorni, dalle due giornate di sciopero e mobilitazione della Fiom, allo sciopero sociale e di genere dei movimenti precari e dei sindacati di base del 14.
Lavoreremo perché il conflitto e la mobilitazione sociale fermino le politiche di destra, inique e fallimentari del governo Renzi, e perché il 5 dicembre si fermi davvero tutto il paese.




martedì 11 novembre 2014

Dal 25 ottobre allo SCIOPERO GENERALE!


Sulla legge elettorale le due destre trattano per inventare un bipolarismo che non c’è

di Paolo Ferrero – L’incontro tra Renzi e i condannati e rinviati a giudizio rappresenta a tutti gli effetti il tentativo delle due destre di restaurare un bipolarismo che non esiste nel paese ed è anticostituzionale. Un vero e proprio interesse privato in atti pubblici che nulla ha a che vedere con il buon governo dell’Italia. La strada maestra sulla legge elettorale è che ogni italiano e italiana conti per uno – un sistema proporzionale con una preferenza – cioè la legge elettorale riscritta dalla sentenza della Consulta. www.rifondazione.it

Immobilismo della BCE è folle o criminale? La seconda che hai detto! Usano la crisi per distruggere i diritti dei popoli

di Paolo Ferrero – Di fronte al nulla di fatto dell’odierna riunione della BCE viene spontanea la domanda: l’immobilismo della BCE è folle o criminale? Facile anche la risposta: la seconda che hai detto! Di fronte alla BCE che ci informa che prepara nuove misure da utilizzare solo “se necessarie” viene da chiedersi: ma cosa aspettano? L’Europa è chiaramente in deflazione, il cavallo non beve e i disoccupati sono oramai decine di milioni. Chiunque capisce che è necessario aumentare drasticamente la spesa pubblica per determinare la ripresa di una domanda solvibile e degli investimenti privati. Se la BCE non si muove in questa direzione è perché aspettano che l’Italia e gli altri stati distruggano completamente il welfare e i diritti dei lavoratori, solo dopo la BCE interverrà sui debiti pubblici. Questi signori usano la crisi per distruggere i diritti dei popoli e i governanti come Renzi recitano il copione perfettamente: sono dei criminali. www.rifondazione.it

Ocse, Ferrero: tra ladri si spalleggiano sempre! Su Jobs Act Ocse mente sapendo di mentire

di Paolo Ferrero – Tra ladri si spalleggiano sempre. E’ questa la spiegazione di quanto dice l’OCSE sul Jobs Act. L’OCSE mente sapendo di mentire perchè tutti gli studi internazionali, compresi i suoi, dimostrano che non vi è alcuna correlazione positiva tra aumento della precarietà e aumento della disoccupazione. L’OCSE sa benissimo che il Jobs Act non produrrà nemmeno un posto di lavoro ma anzi demolirà i diritti dei pochi che ancora lavorano. Il motivo di questa presa di posizione è che tutte le istituzioni internazionali, come il centro sinistra e il centro destra italiano, fanno parte di un unico partito, quello neoliberista che applica le sue ricette contro i popoli in modo bipartisan e coordinato. Questa politica deve essere rovesciata estendendo l’articolo 18 a tutti e aumentando la spesa pubblica nei settori di pubblica utilità. www.rifondazione.it

Elezioni Midterm: la sconfitta di Obama dimostra che il bipolarismo impedisce il dissenso

Di Paolo Ferrero - I vari commenti sulle elezioni di metà mandato degli Usa si soffermano sulla “storica” vittoria dei repubblicani. Secondo i politologi si tratterebbe quindi di una svolta a destra. Questo è ovviamente vero al livello della rappresentanza politica – i repubblicani sono più destra dei democratici – ma a mio parere questo è il frutto paradossale di uno spostamento a sinistra dell’elettorato statunitense che – attraverso il meccanismo deformante del bipolarismo – ha determinato la vittoria della destra. Provo a motivare brevemente questa mia affermazione che può risultare paradossale.
Parallelamente alle elezioni politiche parziali, si sono svolti in vari stati referendum su questioni di una certa rilevanza. Segnalo perché mi paiono assai significativi i seguenti: in 5 Stati (in maggioranza repubblicani) si tenevano referendum sull’aumento del salario minimo. In tutti gli Stati ha vinto – anche con margini ampi – la proposta di aumentare i salari minimi. Ovviamente i repubblicani erano contrari. In 4 Stati si è votato per forme diverse di legalizzazione della marijuana. In 3 stati ha vinto chi sosteneva la legalizzazione. In 3 stati si è votato su quesiti che attenevano al tema dell’aborto. In 2 ha vinto il fronte abortista. Tutto si può dire salvo che questi dati segnalino uno spostamento a destra dell’opinione pubblica.
In secondo luogo mi pare obbligatorio sottolineare come più che di una vittoria dei Repubblicani si sia trattato di una sconfitta dei Democratici. La partecipazione al voto a queste elezioni è infatti letteralmente crollata. A queste elezioni ha votato il 36,6% degli aventi diritto rispetto al 40,9% che aveva votato nel 2010 alle ultime elezioni di metà mandato. Abbiamo quindi un crollo dei votanti e i dati che ho trovato in merito sottolineano come il crollo sia avvenuto maggiormente negli Stati dove i democratici erano più forti, tra i giovani, tra le minoranze etniche e nella parte meno istruita della popolazione.
I dati ci parlano quindi del fatto che una larga parte degli strati più deboli della popolazione – che nelle ultime elezioni aveva votato democratico nella speranza di una cambiamento – questa volta non sono andati a votare perché il cambiamento non l’hanno visto. A me pare quindi che il voto segnali che negli Usa è cresciuta una diffusa domanda di giustizia sociale, che si è sentita presa in giro dai democratici e che quindi non li ha più votati. Tutti i sondaggisti segnalano come larga parte della popolazione – compreso l’elettorato repubblicano – ritenga che la ripresa in corso stia favorendo i ricchi, le banche e i soliti noti, mentre nulla venga in tasca agli strati popolari. Può sembrare un paradosso ma la destra ha vinto le elezioni perché il paese si è spostato più a sinistra in senso egualitario e non ha trovato chi poter votare per esprimere questo orientamento.
Io penso che questo non avvenga a caso ma sia precisamente il motivo per cui è stato costruito e si cerca di estendere in ogni dove il bipolarismo. Negli Usa il sistema bipolare è istituzionalizzato e anche un bambino capisce che entrambi gli schieramenti sono interni all’establishment dominante e che non fanno quindi gli interessi delle classi popolari. Dentro la crisi che ha evidenziato le storture del neoliberismo e della finanza globalizzata, questa consapevolezza è emersa con più chiarezza e Obama che aveva suscitato un’aspettativa di cambiamento è stato duramente e giustamente punito. I delusi da Obama non sono andati a votare repubblicano, semplicemente non si sono recati alle urne. Hanno manifestato il loro dissenso non dando il voto.
Credo di poter affermare senza essere smentito che se negli stati Uniti vi fosse stato un sistema proporzionale, una parte di questa critica si sarebbe espressa con un voto a sinistra del partito democratico. Al contrario, nel sistema bipolare, l’unico modo per esprimere il proprio dissenso – da sinistra – è quello di non votare, di non turarsi il naso. E’ infatti evidente che un elettore critico con il moderatismo di Obama non voterebbe mai repubblicano vista la loro manifesta la posizione a favore dei ricchi degli industriali e dei banchieri.
Questa vicenda mi pare quindi sia un esempio da manuale di come il bipolarismo, lungi dal permettere al popolo di esprimere le proprie opinioni per vederle rappresentate, è semplicemente un sistema che mantiene la parvenza della democrazia come finzione teatrale attorno alla permanenza indiscussa della difesa dei privilegi dei ricchi, della finanza, della grande industria.
Questo dovrebbe far riflettere chi da sinistra continua a sostenere la necessità in Italia di rafforzare un sistema bipolare che palesemente non esiste nella società. La proposta di legge di Renzi, – il superporcellum con il ballottaggio- ha un unico obiettivo: rendere impermeabile alle istanze popolari il terreno del governo perché chiunque vincerà sarà espressione di uno dei due poli di centro destra o centro sinistra che – analogamente ala situazione statunitense – sono palesemente espressione delle classi dominanti italiane ed europee.
Per queste ragioni ritengo necessario lottare per impedire l’approvazione di una nuova legge elettorale in quanto va benissimo quella che c’è, frutto della sentenza della Consulta: proporzionale con sbarramento e una preferenza. Il proporzionale è l’unico sistema che permette ai popoli di costruire effettivamente una propria rappresentanza politica evitando di dover semplicemente scegliere a quale frangia delle classi dominanti delegare la propria rappresentanza oppure di doversi astenere. Nemmeno più negli Stati Uniti si turano il naso, bisognerebbe smetterla di farlo anche in Italia. www.rifondazione.it